Quando si decide di friggere qualcosa, più o meno tutti si sono chiesti, quale è l’olio migliore da utilizzare, inteso come il più sano, indipendentemente dai gusti.

Uno dei criteri con cui si sceglie, generalmente, un olio per friggere è il punto di fumo.

Il punto di fumo è la temperatura alla quale l’olio inizia a rilasciare una scia di fumo bluastro.

Il punto di fumo può variare notevolmente, influenzato da fattori quali il volume dell'olio utilizzato, le dimensioni del contenitore, la presenza di correnti d'aria, il tipo e la fonte di luce, nonché la qualità dell'olio e il suo contenuto di acidità, altrimenti noto come contenuto di acidi grassi liberi.

Il punto di fumo, chimicamente si verifica, quando l’olio esposto al calore, degrada o “rompe” e si producono sottoprodotti: acidi grassi liberi in inglese FFA (free fat acids), prodotti secondari di ossidazione, composti polari.

Alcuni di questi sottoprodotti della degradazione dell'olio hanno effetti nocivi sulla salute.

Più un olio contiene FFA, acidi grassi liberi, più rapidamente degrada, si “rompe”, ed inizia a fumare.

Però, gli FFA di un olio, rappresentano generalmente meno dell’uno percento, pertanto il punto di fumo non è l’indicatore più corretto per valutare la capacità di un olio di resistere al calore.

Quindi il punto di fumo perde un po’ della sua importanza.

Dei ricercatori hanno confrontato le caratteristiche, quando sottoposti a calore, di diversi oli da cucina – olio extra vergine di oliva, olio di oliva vergine, olio di oliva, olio di girasole, olio di cocco, olio di avocado, olio di arachidi, olio di riso, olio di vinaccioli e olio di colza canadese (differente dal comune olio di colza per un basso contenuto di acido erucico) (Fonte: De Alzaa F, Guillaume C, et al.Evaluation of chemical and physical changes in different commercial oils during heating).

Dalla ricerca è emerso che i valori su cui confrontare il comportamento dell’olio, quando riscaldato, sono la stabilità ossidativa, i prodotti secondari di ossidazione e il livello totale di PUFA, cioè i livelli di acido grasso polinsaturi, in quanto, queste sostanze chimiche che si formano ad alte temperature, sono direttamente collegati alla nocività dell’olio.

Una delle sostanze più nocive, che si formano durante la frittura in alcuni oli, è 4-idrossinonenale (HNE), un composto organico che si produce durante l’ossidazione dei grassi.

Uno studio su questa sostanza pone l’attenzione sulla sua tossicità, individuandone un ruolo nella fisiopatologia del cancro, delle malattie cardiovascolari e neurodegenerative (Fonte: Miklós Csala , Tamás Kardon, et al. On the role of 4-hydroxynonenal in health and disease).

Gli HNE, si generano, quando oli altamente insaturi come olio di vinaccioli o olio di riso vengono riscaldati, e non necessariamente al loro punto di fumo.

La cosa negativa è che questa sostanza è inodore, insapore e invisibile.

I risultati della ricerca

La classifica della ricerca pone l’olio di oliva extra vergine (EVOO in inglese) al primo posto, perché produce meno composti nocivi e resiste meglio all’ossidazione, anche se non ha il punto di fumo più alto, considerato senza importanza.

La lista nera, in termini di sostanze nocive, che è il punto più importante, è capeggiata da olio di colza, seguito da olio di vinaccioli e olio di riso.

Il premio per il punto di fumo più alto è andato al secondo classificato: l'olio di cocco.

L’olio di cocco, non ha prodotto quantità significative di composti nocivi, però, a differenza dell’olio extra vergine di oliva, sotto il profilo della stabilità ossidativa ad alte temperature, ha valori più bassi.

E questo, è dovuto al minor contenuto di antiossidanti, rispetto all’olio extra vergine di oliva; infatti, la presenza di antiossidanti abbassa i tassi di ossidazione.

Quindi, se potete, anche se più caro, friggete con olio extra vergine di oliva.

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