Integratori e diete. Che cosa è il senso di sazietà, la successione dei cibi e quanto sono importanti.
Oggi nel mondo scientifico si usano due termini inglesi per definire la sazietà.
Satiety, che si riferisce alla sazietà «acuta», quella che si avverte mentre si mangia.
Un alimento dà una satiety maggiore se, quando si è ancora a tavola, fa passare più velocemente la fame.
Satiation, che riguarda la sazietà «cronica», quella per cui l’appetito non torna se non a una certa distanza dal pasto.
Possono essere tradotti con sazietà, satiety, e senso di appagamento, satiation.
Un cibo assicura una satiation, senso di appagamento, tanto maggiore quanto più a lungo perdura la mancanza di fame, oppure quanto minore è la quantità di cibo che si mangia nel corso del pasto successivo, se stabilito a un’ora ben precisa (Fonte: Houssam Halawi, Michael Camilleri. Relationship of gastric emptying or accommodation with satiation, satiety, and postprandial symptoms in health).
Ecco perché in alcuni casi gli integratori sostitutivi dei pasti possono essere davvero efficaci.
Una funzione fondamentale nel determinare sazietà, satiety, e senso di appagamento, satiation, è svolta da vari ormoni, prodotti come conseguenza del digiuno o dell’assunzione di certi alimenti.
Negli ultimi anni ne sono stati scoperti parecchi.
Ne elenchiamo soltanto alcuni, che ci aiutano a capire meglio quanto si è detto finora:
- PP (polipeptide pancreatico): la distensione gastrica ne determina la produzione. I suoi livelli rimangono elevati per alcune decine di minuti.
- PYY (peptide YY): è sintetizzato dalle cellule L dell’intestino (ileo e colon), aumenta dopo 1-2 ore dal pasto e resta alto per circa 6 ore. A provocarne l’innalzamento sono i grassi e le proteine;
- CCK (colecistochinina): è rilasciato dal duodeno a digiuno e subito dopo avere mangiato; il suo livello cresce soprattutto in seguito all’assunzione di proteine e di grassi;
- GLP-1 (Glucagon-like peptide-i): è prodotto immediatamente dopo i pasti dalle cellule L dell’intestino tenue. Tende a innalzarsi ogni volta che si mangia.
Quando si consuma un cibo, dopo poco tempo si elevano i livelli di questi ormoni, che raggiungono i centri della fame e della sazietà e inviano al cervello dei segnali, alcuni dei quali sono rapidi e agiscono sulla satiety, mentre altri sono meno veloci ma hanno il vantaggio di durare a lungo, provocando una maggiore satiation (Fonte: Catherine Gibbons, Mark Hopkins, et al. Issues in measuring and interpreting human appetite (satiety/satiation) and its contribution to obesity).
La fame si riduce mangiando qualsiasi alimento (ecco perché gli integratori che “saziano” possono essere davvero di aiuto), è però vero che tale diminuzione varia da cibo a cibo, con quelli proteici che hanno un effetto saziante nettamente maggiore (pur con differenze fra loro) rispetto a quelli ricchi di carboidrati ad alto indice glicemico (Fonte: Danielle Ferriday, Matthew L. Bosworth, et al. Variation in the oral processing of everyday meals is associated with fullness and meal size; a potential nudge to reduce energy intake?).
L’appetito è quindi il vero nemico da combattere e la vasta disponibilità di integratori “pasti alternativi” o di piccoli snack, esempio le barrette sono sempre più diffusi.
La successione dei cibi
Da qualche anno, per sfruttare al meglio le conoscenze di cui si è appena parlato, viene proposto un metodo, semplicissimo, che consente di aiutare a dimagrire cercando di limitare l’apporto calorico.
In pratica il metodo consiste nel distribuire la successione degli alimenti durante i pasti in maniera tale da stimolare il più rapidamente possibile il senso di sazietà.
Verdure
Si comincia con le verdure, cotte o crude (con l’eccezione delle patate), che determinano più facilmente la sazietà, satiety, in quanto, oltre a obbligare a masticare e a deglutire a lungo, favoriscono la distensione gastrica e la conseguente produzione di PP, l’ormone con effetto saziante che si eleva subito, anche se il suo livello non rimane alto a lungo.
Cibo proteico
Si continua con un cibo proteico, che va scelto fra quelli con il minimo contenuto di grassi nocivi (pesce, pollame, bovino e suino molto magri, affettati come la bresaola o il prosciutto sgrassato e latticini magri) e in parte favorisce anche la satiety, ma soprattutto stimola il senso di appagamento, la satiation, grazie all’innalzamento di PYY e CCK, ormoni che rimangono in circolo per varie ore.
Frutta
Successivamente si passa alla frutta, selezionata fra quella a basso indice glicemico (vanno quindi esclusi banane, cachi e fichi), che ha una bassa densità calorica, anche se non quanto le verdure, e agisce sia sulla sazietà, satiety, sia sul senso di appagamento, la satiation.
Carboidrati
Infine, si mangia una quantità maggiore o minore di cereali, meglio se integrali (oppure sotto forma di avena o orzo), se in un calcolo effettuato sulle necessità del singolo individuo i carboidrati non risultano sufficienti.
È chiaro che utilizzare, per esempio integratori proteici, in alcuni casi di forte sottopeso è più che consigliabile.
Suscitò molto stupore una ricerca, effettuata alcuni anni fa, che evidenziava come, fra due gruppi impegnati a dimagrire, i risultati nettamente migliori fossero stati ottenuti in chi beveva un grande bicchiere d’acqua immediatamente prima di iniziare il pasto.
Lo ricerca aveva validi motivi partendo dal presupposto che l’alimento con la minima densità calorica è proprio l’acqua.
A questo se ne aggiunse un altro che proponeva di bere almeno 200 grammi di acqua (meglio se gasata) prima di cominciare a mangiare.
Il risultato, soprattutto per chi ha molta difficoltà ad alzarsi da tavola prima di sentirsi sazio fu positivo in quanto l’acqua gasata provoca la pienezza gastrica stimolando la produzione dell’ormone PP e la conseguente sazietà, satiety.
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